foto di Giuliano Guida |
Sbuffi di memoria
Un viaggio meraviglioso attraverso la pedemontana del Friuli, Claudio e Giuliano ci racconteranno, a puntate, la storia di quei luoghi ma anche la storia delle strade ferrate abbandonate.
pubblicato il 5 giugno 2015 su "La Città Futura" settimanale on line
C’era una volta la locomotiva, potente, massiccia,
simbolo dello sviluppo industriale. Un mezzo di trasporto
rivoluzionario che ha cambiato le sorti del modo di spostarsi per
uomini e merci.
La storia delle ferrovie in Italia ha inizio il 3
ottobre 1839 con l'apertura del breve tratto di linea di circa sette
chilometri da Napoli a Portici. Nel corso dell’ottocento si è avuto un
piccolo ma costante incremento delle strade ferrate dovuto a piccole
società private finché, sull'ovvia constatazione che per il loro valore
strategico le ferrovie non potevano ulteriormente essere lasciate in
mano a gruppi finanziari privati, il 1º luglio del 1905 è nata
l'Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato con cui lo Stato
ne assumeva la gestione diretta. Per tutto il novecento si è assistito
in tutta la penisola ad uno sviluppo ferroviario ramificato che ha
raggiunto borghi e piccoli centri, contribuendo ad unificare
concretamente uno Stato che era nato da poco. A partire dagli anni ’60
con lo sviluppo dell'industria automobilistica si è avviato un primo
ciclo di dismissione delle linee. Oggi sono circa 6000 i chilometri di
binari smantellati, un patrimonio prezioso che nel corso degli anni ha
escluso una consistente parte della popolazione dall’utilizzo del
treno. Dismissione che a partire dagli anni novanta, in corrispondenza
della trasformazione in società per azioni dell’Ente Ferrovie dello
Stato e quindi di fatto della sua privatizzazione anche se lo Stato ne
resta l’unico azionista, ha subito una forte accelerazione in
particolar modo nel corso degli ultimi anni. Non è sicuramente una
coincidenza se la privatizzazione, lo smembramento delle ex FS in
molteplici società e la creazione della rete ad alta velocità abbiano
incrementato tale processo. Basti pensare che anche nelle pubblicità e
spot televisivi si sente parlare dei fruitori del treno solo
esclusivamente come clienti e non più come viaggiatori o passeggeri, un
piccolo dettaglio che però mostra il cambiamento da quello che
dovrebbe essere un servizio pubblico garantito a quello che è la
vendita di una merce
.
.
Un fenomeno che riguarda indistintamente tutto il
territorio nazionale anche se, specialmente recentemente, sono le linee
del nord, che poteva vantare una maggiore diffusione e presenza, ad
essere principalmente chiuse. Solo negli ultimi cinque anni sono oltre
1000 km e 10 linee ferroviarie secondarie ad essere state dismesse,
alcune delle quali con la motivazione che si è sospesa solo la
circolazione per problemi infrastrutturali o perché non economicamente
vantaggiosa. Ma è una tattica vista diverse volte che, associata
purtroppo al progressivo abbandono dei centri minori ed all’incremento
dei mezzi su gomma, inizia con l’innalzamento dei tempi di percorrenza,
prosegue con l’inserimento di orari inservibili, la riduzione dei
fondi alla manutenzione, il passaggio a bus sostitutivi ed infine lo
smantellamento definitivo. Si tratta di un patrimonio importante, che
si snoda nel territorio e collega città, borghi e villaggi rurali, di
opere d'arte (ponti, viadotti, gallerie), di stazioni e di caselli
(spesso di pregevole fattura e collocati in posizioni strategiche), che
giacciono per gran parte abbandonati in balia dei vandali o della
natura che piano piano se ne riappropria. Un patrimonio da tutelare e
salvare nella sua integrità, per rimettere in funzione collegamenti
esistenti ma abbandonati, per valorizzare le tratte minori situate in
aree marginali eppure indispensabili alla mobilità locale, ma anche
associandolo a percorsi verdi per la riscoperta e la valorizzazione del
territorio ed a un utilizzo del servizio ferroviario legato ad una
fruizione ambientale e dei luoghi. Ma c’è un’Italia che resiste a
tutto questo, un’Italia fatta di associazioni, comitati, di piccole
istituzioni locali che conoscono bene l’importanza e la necessità di
salvaguardare il patrimonio ferroviario italiano minacciato dalla
logica del profitto e dei continui tagli imposti dalle condizioni della
finanza pubblica e di proporre il treno non solo come mezzo di
trasporto sostenibile, economico ed universale ma anche come mezzo per
scoprire le inestimabili ricchezze naturali ed artistiche di cui siamo
ricchi.
E’ con questo spirito che abbiamo deciso, essendo
comunque amanti del viaggio lento, del viaggiare per conoscere
territori, raccogliere storie, incontrare gente, certi che l’essenza
non è arrivare da un punto A ad un punto B ma tutto quello che vi è in
mezzo, il percorso che si fa strada e che diventa storia, di camminare
lungo una di queste ferrovie. Percorreremo completamente a piedi 74 km
della pedemontana del Friuli che dal 2012 sono chiusi alla circolazione
dei treni con la motivazione ufficiale di uno smottamento
raccontandovi degli uomini, donne e paesaggi che incontreremo in questa
avventura.
pubblicato il 5 giugno 2015 su "La Città Futura" settimanale on line
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