domenica 29 maggio 2016

A PIEDI SULLA STRADA FERRATA

Racconto selezionato al concorso letterario "Scripta VOLant" organizzato dall'associazione V.O.L.O.e pubblicato della EDARC Edizioni




Prendere il ritmo delle traversine non è cosa facile. I sessanta centimetri che le distanziano sono troppo corti per un passo regolare, eppure dobbiamo iniziare a prenderne l’andatura. Friuli, zona pedemontana, una linea ferroviaria che nella sua parte più antica ha compiuto da poco i 100 anni. I treni dal luglio del 2012 non passano più, la circolazione è ufficialmente interrotta a causa di uno smottamento che ha provocato lo svio del treno, da allora servizio sostituito con bus. Siamo venuti da Roma appositamente per percorrere a piedi i 75 km che separano Sacile da Gemona e per dare, se possibile, un contributo alla sua riapertura.  Viaggiare con lentezza, un’andatura di pochi chilometri che ti permette di entrare in contatto con lo spazio ed il tempo, che ti offre la possibilità di raccogliere storie e che ti consente di apprezzare la fatica e di amare le piccole gioie. E’ così ci siamo ritrovati sotto un caldo cocente ed un clima inatteso a seguire per cinque giorni, come fossimo una locomotiva, i binari di una ferrovia che va verso l’abbandono ma che può vantare un ricco patrimonio di idee ed uomini.
Stazione di Sacile, linea in esercizio. Usciamo dall'edifico e percorriamo qualche centinaio di metri sulla stradina che costeggia la tipica recinzione in cemento delle FS.  La nostra tratta si allontana dolcemente dalla direttrice principale, è il punto buono per iniziare a calpestare le traversine. I primi passi sulla massicciata rappresentano il momento del non ritorno, quel breve istante in cui ti rendi conto che il filo si spezza e che le ultime indecisioni, preoccupazioni e timori cadono, dopo di che tutto diventa leggero e l’avventura ha inizio. San Liberale è la fermata degli studenti, suona la campanella è te li ritrovi seduti vicino come se fossero in attesa di un treno che non passerà. Fa un certo effetto vederli animare un luogo che ormai è privato della sua funzione originale. Poi d’improvviso scappano tutti a prendere i pulman che li riportano a casa, ormai non hanno alternative e non possono perdere quel mezzo che già li costringe ad itinerari e tempi maggiori. Numerosi gli incroci con strade e stradine, le sbarre dei passaggi a livello sono state rimosse e le auto hanno ormai la precedenza indisturbate. Per qualche chilometro continuiamo a costeggiare abitazioni, l’erba ai lati del binario è tagliata. Nulla fa pensare che sia una ferrovia senza traffico. Un raccordo industriale connette con una grande fabbrica fumante. I suoi prodotti in acciaio da tempo hanno preso un’altra direzione, il trasporto ormai è tutto su gomma. Più inquinamento, più rischi, più sfruttamento, in questa nostra nazione sembra che il traffico delle merci su ferro debba restare relegato a poche tonnellate. Il segnale di protezione ci fa comprendere di essere giunti finalmente alla stazione di Budoia-Polcenigo. Siamo stanchi ma entusiasti, le temperature elevate ci hanno messo in dura difficoltà ma la prima tappa è con piacere al termine. Il luogo sembra essere rimasto immobile nel tempo, il fabbricato viaggiatori è in buona condizioni, il giardino è curato e manutenuto, la fontanella sgorga acqua fresca e l’ufficio movimento appare ordinato e pronto a dirigere la circolazione.
Stefano 23 anni di Tarvisio dopo aver scoperto del nostro progetto ha deciso di unirsi e di percorrere con noi i restanti chilometri. Poche falcate sulla massicciata è scopriamo che la sua compagnia sarà molto piacevole. Macchinista ed appassionato di ferrovia condivide questa passione insieme ad altri volontari che si adoperano per la salvaguardia del raccordo ferroviario Carnia – Tolmezzo al fine di un futuro utilizzo con locomotori storici. Prima di rimetterci in marcia ci capita di essere riconosciuti da un signore pugliese che lavora per un ditta che costruisce distributori di benzina. Ha letto di noi sul giornale e si schiera da subito con questo piccolo gesto di solidarietà ben consapevole di cosa significa essere privati di un trasporto pubblico su ferro. La stazione di Aviano nella mia mente si associa inequivocabilmente alla base aeronautica della NATO ed alle mie esperienze personali. E’ da qui che partirono i cacciano che bombardarono la Serbia nel 1999 e i cui effetti collaterali ho potuto vedere qualche anno fa nella mia visita di Belgrado. O ancora la tragedia della funivia di Cavalese quando un caccia impiegato in wargames tranciò i cavi provocando una strage. La fermata di Marsure non veniva effettuata già in precedenza, il vecchio edificio è in stato di abbandono e con la porta aperta. Impossibile resistere alla curiosità. Spazzatura sparsa, qualche scritta sui muri, vetri rotti, divani e poltrone. Sembra che sia stata il riparo di qualcuno o il luogo in cui passare delle ore per qualche ragazzo. Un libro aperto e buttato in un angolo colpisce la mia attenzione, è la guida alle osterie d’Italia del 1996.  Come sempre è nel momento del bisogno che si aprono le vie ad incontri eccezionali. E’ bastata la necessità di un po’ di acqua fredda per farci bussare alla porta di Giuliano ed entrare così in contatto con un mondo che non esiste più. Un uomo incredibile da un cuore d’oro e una gentilezza infinita. La sua esistenza è tutta contraddistinta dallo scandire dei convogli ferroviari. Nipote di quella che per tutta la vita fu la titolare del casello è nato e vissuto sempre qui. Grande appassionato e profondo conoscitore di ferrovie ne è anche un accanito collezionista. La sua casa è a tutti gli effetti un piccolo museo che varrebbe la pena di visitare. Si da un gran da fare per mantenere in efficienza e pulita la piccola tratta di binario dove vive ed il suo rammarico per la chiusura è così forte che solo la passione e la speranza per veder tornare a circolare la littorina riescono a compensare. Ha decine di aneddoti da raccontarci come quella volta che il convoglio internazionale Vienna – Roma fu deviato proprio qui o ancora che fino al 1980 vivevano senza elettricità e che tutto era regolato in funzione degli orari dei treni. Il tempo in sua compagnia scorre veloce ma i numerosi orologi che scandiscono il batter delle ore ce lo ricordano di continuo. Saremo suoi ospiti per la notte e ritorneremo qui solo dopo l’incontro nella stazione di Montereale Valcellina con un gruppo di giovani architetti che ci illustreranno la loro interessante proposta di salvaguardia e recupero di quel prezioso patrimonio che è la ferrovia Pedemontana.