venerdì 31 dicembre 2010

In bicicletta da Vienna a Zagabria 3

LIBERANDOSI DI TUTTO

La sveglia suona abbastanza presto. Come ogni mattina da qui ai prossimi giorni prepariamo le nostre borse e carichiamo tutto sulle bici. Francesco è incredibilmente lento, ha i suoi ritmi e tra una cosa e l’altra passa circa un’ora da quando si alza. Ma non mi dispiace attendere, un modo per trascorrere il tempo si trova sempre.

Alle 10.00, dopo la classica incertezza iniziale per trovare la giusta via, lasciamo Bratislavia e riprendiamo la ciclabile numero 6 che ci condurrà in terra magiara. Il sole è già alto e cuoce, il caldo è torrido, il cielo è limpido e all’orizzonte neanche una nuvola. Decine i ciclisti che incrociamo, poi persone con i rollerblade e altre che fanno jogging. Riflettendo è sabato mattina e gli abitanti della capitale slovacca si stanno godendo la fantastica giornata su questa incredibile strada...


Siamo meravigliati, felicemente sorpresi. Non ce lo aspettavamo e neppure potevamo immaginarlo. La ciclabile che lascia la capitale si trasforma presto in una vera e propria strada statale a due corsie con tanto di guardrail, segnaletica e asfalto perfetto. A fianco invece resta una stradina più stretta che costituisce il classico circuito riservato alle bici. Un istantaneo ragionamento ci porta a ritenere che probabilmente si tratta di una strada ormai chiusa al traffico e diventata il regno della mobilità lenta.

Non riesco a stargli dietro, lo lascio andare, uno scatto di orgoglio e adrenalina. Francesco è in fuga, è andato a ruota di un ciclista che ci ha sorpasso ma che pedala con scioltezza nonostante gli oltre 30 orari. Ci ritroviamo poco dopo, rallentiamo il ritmo e ci godiamo il paesaggio. Prati e boschi ci circondano.

All’improvviso un lago, gli occhi ci brillano ed il caldo ci opprime. Decine le persone sulle sue sponde ed anche qui, come a Vienna, scopriamo che la maggior parte è completamente nuda. Freniamo, torniamo indietro e decidiamo di fermarci. Cerchiamo un posto un po’ isolato, un strano senso del pudore ci impedisce di metterci vicino agli altri. Dopo un imbarazzo iniziale e al grido “ma chi se ne frega” ci spogliamo liberandoci di tutto e ci tuffiamo in acqua godendo del meritato refrigerio.

Riprendere a pedalare dopo una piacevole sosta è sempre difficile, soprattutto quando la tua pelle comincia ad abbrustolirsi sotto un sole implacabile. D’improvviso la ciclabile si interrompe e di fronte ad un bivio prendiamo ovviamente la strada sbagliata. Continuiamo a costeggiare il fiume blu ma proseguendo per questa rotta non raggiungeremo mai il confine magiaro. Si torna indietro, perso altro tempo prezioso che sommato alla lunga pausa ci farà arrivare anche stavolta tardi a destinazione. D’altro canto il bello del viaggiare in bici è anche questo, spesso sono proprio gli imprevisti che regalano incontri stupendi.

Quest’anno avevamo deciso di fare tappe più brevi, cosa che si rivelerà completamente errata, per giungere alle varie mete in orari decenti che ci consentissero di apprezzare i diversi luoghi. Anche oggi arriveremo al calar delle tenebre.

Nuovamente un confine in stato di abbandono, la dogana ormai è roba di altri tempi. Entriamo in terra ungherese e fortunatamente, dopo qualche centinaio di metri, lasciamo immediatamente la statale 150 seguendo le indicazioni per il circuito eurovelo 6. Svoltiamo addentrandoci nel paesino di Rajka.

La piccola piazzetta ci regala il primo incontro con il bene più prezioso per un essere umano. Incrociamo la prima fontanella blu, un colore che impareremo a distinguere bene e che ci regalerà d’ora in poi una gran gioia. Sarà infatti la prima di una lunga serie di fontanelle, con una pompa per far uscire il prezioso liquido, che scopriremo essere disseminate in tutta l’Ungheria, anche e soprattutto nei minuscoli villaggi e paesini che ci troveremo ad attraversare.

Le indicazioni per la pista ciclabile, rappresentate da un’inconfondibile segnale verde e giallo, ci portano a deviare per strade secondarie. Nessuna corsia riservata alle due ruote ma carreggiate poco trafficate e in pessime condizioni. Vi sono buche ovunque, l’asfalto solcato di crepe ci impedisce di camminare ai margini e ci costringe a diventare i padroni della via.

Attraversiamo uno dopo l’altro microscopici villaggi, molti hanno in comune il prefisso del nome che trae origine dal Danubio che scorre nelle vicinanze. Proseguiamo verso est, l’arrivo è ancora lontano.

Lipot, un immenso parcheggio colmo di automobili, non ne capiamo il motivo. Un piccolo paesello di circa 500 anime, eppure qui oggi ci saranno centinaia se non migliaia di persone. Ci fermiamo approfittando dell’ennesima fontanella, della curiosità e di una buona occasione per riposarci. Leggiamo i cartelli e scopriamo che qui vi è un importantissimo e famoso centro termale. Una serie di piscine si trova oltre le mura ed il cancello che ci si pone dinanzi.

Ripartiamo, ma subito la nostra attenzione viene catturata. Musica a tutto volume, un vociare allegro di fondo, odore di prelibatezze alla brace. Nel piccolo parco che domina il centro del borgo si sta svolgendo una festa. Parcheggiamo i nostri bolidi e ci intrufoliamo a dare un’occhiata.

Siamo a meno di 30 km dal traguardo giornaliero. Superato il paesino di Hedervar ritroviamo la ciclabile. La pista destinata alle bici corre parallela alla statale che comincia anche ad essere più trafficata.

Come capita sempre, più si è vicini alla meta e più sembra che ci si allontani. Per coprire questa breve distanza impieghiamo infatti molto tempo. Le soste aumentano a dismisura ed il mio sedere chiede pietà, vorrebbe fermarsi e non andare avanti. Il dolore è quasi insopportabile e il sollievo dato dalle pause dura solo qualche breve istante.

Senza quasi accorgecene siamo a Gyor, “finalmente”. Ci avventuriamo alla ricerca di una residenza universitaria che in estate dovrebbe funzionare anche da ostello. Giriamo intorno ai palazzi ma non c’è traccia dell’entrata. Chiediamo, qualcuno non sa, altri ci indicano l’edificio che continuiamo a circondare. Imbocchiamo una piccola stradina che ci porta all’interno del complesso. Un immenso cortile, un piccolo bar e alcuni negozi, dall’altro lato l’accesso.

Il portiere parla solo ungherese ma con semplici gesti e qualche parola riusciamo a farci capire ed avere una camera per due. Ma gli ostacoli non sono finiti. Non abbiamo fiorini con noi e così parto alla ricerca di un cambio. Incredibilmente non riesco a trovare un ufficio, percorro tutte le vie e quando mi imbatto in uno di questi la triste scoperta. Sabato pomeriggio è tutto chiuso. Siamo costretti così a prelevare dal bancomat.

Nella graziosa camera tiriamo il bilancio della giornata. 98 km percorsi in 5 ore e un quarto ad una media di quasi 19 km/h. Siamo soddisfatti, orgogliosi della prestazione addirittura migliore del giorno precedente. Dobbiamo continuare così, anzi ora dovremmo cercare di ridurre i tempi morti dovuti alle numerose, seppur brevi, pause che ci concediamo. Sulle ali dell’entusiasmo e stretti dai morsi della fame ci avviamo verso la città vecchia.

Oramai l’oscurità è calata su di noi, decidiamo di rimandare l’aspetto culturale a domani mattina, per ora prioritario è il cibo. Qualche ristorantino, diversi bar ma non è quello che cerchiamo, sfortunatamente nessuna “trattoria” economica che serve piatti tipici.

Andiamo dietro una folla di giovani, del fumo si alza in lontananza e sulle sponde del Raba, un’affluente del Danubio, scopriamo esserci una festa. Una sorta di festival estivo dello sport, ci sono banchetti gastronomici e un maxischermo che sta proiettando la finale per il terzo posto. E’ vero, ce l’eravamo dimenticati, ma ci sono i mondiali di calcio.

Carne alla brace, una strana ma buona specie di pizza, non saprei proprio come definirla e delle ghiacciate Dreher. Sdraiati sul prato osserviamo la Germania battere purtroppo l’Uruguay 3-2. Dopo aver gironzolato un po’ alla ricerca di un locale dove divertirci ci fermiamo nell’ex piazza del mercato a fare due chiacchiere rinfrescandoci con una granita.

La stanchezza si fa sentire e sotto pressione di Francesco decidiamo di rientrare nonostante sia solamente mezzanotte. Ma proprio vicino al nostro ostello troviamo un locale. Lo costringo ad entrare. E’ situato proprio sul Danubio o per essere precisi su un ramo laterale. Ci godiamo un birra ammirando dai tavoli il bel fiume che seguiremo ancora per due giorni. I pensieri volano e con loro la mia fantasia, sarebbe bello accompagnarlo fino al mar Nero.

3 commenti:

  1. Beh, che dire, io mi ricordo la scena del portiere, ovvero come riuscire a far comunicare due indoeuropei con un magiaro. Visto che la lingua non può aiutare, usare molto gli arti. Il gesto della guancia appoggiata al dorso della mano vuol dire pressapoco "Noi cerchiamo due letti per dormire questa notte, possibilmente in una stanza, al limite anche con bagno". Il pollice che sfrega indice ed anulare ben protesi verso l'alto significa "A quanto ammonta il corrispettivo espresso in HUF per i due letti in una stanza al limite con bagno"...
    S'impara più dal Cileno in pochi secondi che non in una vita di studi di linguistica.

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  2. sta volta sono io che devo ringraziarti.
    un commento bellissimo, emozionante e che suscita piacevoli ricordi. Meriterebbe di essere inserito nel racconto......grazie fra

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  3. E' tornato Goethe, e lascio a voi immaginare dove siano i dolori del giovane Werter, dopo ore e ore sulla sella. Piacerebbe anche a Stanis La Rochelle perchè per niente italiano, nella trama e nelle misure (90-60-90 dalle nostre parti).
    Un dubbio tricolore mi assale però; è possibile che nella patria dell'onorevole Staller Ilona non vi sia traccia di qualche Ruby del luogo? Capisco che l'appeal di un Ivan Basso o di un Contador non sia pari a quella di un Clooney o di un Totti, ma neanche una descrizione o un accenno di presenza femminile mi puzza di censura preventiva. Silvio troverebbe "vergognoso" questo tracollo di fascino italico in terra straniera, mentre il resto del mondo lo vorrebbe accanto al trio Barak: Mu, Obama e Ehud, ospiti in qualche caverna di Osama.
    Alla prossima Gregoroviusa pedali.....

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