lunedì 21 marzo 2011

In bicicletta da Vienna a Zagabri 4

UN BICCHIERE DI KOFALA

Le operazioni di preparazione dei bagagli si protraggono a lungo, lasciamo l’immensa residenza quando il sole è già alto. Prima di lasciare la città dei fiumi ci concediamo una visita del suo affascinante centro. Andiamo a zonzo un po’ per le antiche e strette vie soffermandoci a vedere la cattedrale vescovile, le chiese sparse qua e là, l’imponente piazza del mercato. Alziamo gli occhi al cielo dove volteggiano, a bassa quota, piccoli aeroplani ad elica.

Anche oggi uscire dall’urbe richiede tempo e pazienza. Andiamo ancora verso oriente, due le opzioni. Prendere la statale numero uno raggiungere il Danubio e costeggiarlo fino alla nostra destinazione odierna, oppure passare all’interno per una strada secondaria, arrivare a Tata e da qui tagliare in direzione del fiume. Ci incamminiamo su questa seconda ipotesi visto anche che, in teoria, sulla statale uno il traffico è interdetto alle biciclette. Fino ai margini di Gyor utilizziamo la pista ciclabile, poi sparisce nel nulla e non ci resta che proseguire sulla stretta e poco traffica carreggiata...


Intorno a noi il deserto rappresentato da distese immense di campi, sopra un sole cocente che riscalda l’aria e brucia la pelle, all’orizzonte enormi pale eoliche. L’utilizzo di energie rinnovabili è fondamentale per lo sviluppo di una nazione. Un sistema integrato basato sull’uso del sole e del vento, oltre a riparare agli enormi danni ambientali che la nostra società sta causando, risolverebbe anche i problemi energetici ed economici. Purtroppo l’Italia è ancora arretrata, non vi sono politiche serie e quella che potrebbe essere una ricchezza per un popolo corre il rischio di trasformarsi nell’ennesima speculazione. Francesco è molto interessato all’argomento e ne sa sicuramente molto più di me, in fin dei conti questo è il suo campo di studio e lavoro.

Bony, Bana, Babolna, minuscoli villaggi che diventano i nostri traguardi volanti. Brevi soste solamente per rinfrescarci e fare scorta di acqua fredda dalle inseparabili fontanelle blu. Avviene anche il primo incontro del viaggio con una cicogna. La vedo ferma, immobile, nel suo splendido nido eretto sopra un piccolo traliccio della corrente.

La monotonia della strada e del territorio, un leggero saliscendi continuo fra campi coltivati, e la calura degna delle peggiori estati romane fiaccano il morale. Le mie soste aumentano a dismisura e si concentrano sotto quei pochi arbusti che concedono un po’ di ombra e sollievo per l’anima e il corpo. Francesco, beato lui, sembra quasi immune da tutto ciò, invece di fermarsi gironzola avanti e indietro.

Appare all’orizzonte come un miraggio ma presto si materializza in realtà. Tata, chiamata la città delle acque, sorge sui laghi Oreg e Cseke. Ci concediamo una lunga sosta per visitarla e approfittiamo anche, essendo ora di pranzo, per abbuffarci con un delizioso kebab. Il pezzo forte della città è il castello gotico dalla forma quadrangolare, ornato da quattro torri d'angolo costruito agli inizi del 1400. Il castello è protetto da una parte dal lago Öreg mentre dal lato nord-ovest e sud-ovest da un fossato d'acqua; per rafforzare il sistema protettivo intorno al 1570 fu recintato da mura con bastioni e casematte italiani.

Mi sento rigenerato, carico, fresco come una rosa e pronto a cimentarmi in una nuova impresa. I segni dei faticosi 50 km percorsi restano solamente sul mio viso, rosso più della maglietta della Roma che indosso.

Riprendiamo la marcia puntando verso il Danubio. Pochi illegali chilometri sulla statale uno e poi svolta per il borgo di Szomod. Un cartello indica che la strada è chiusa. Ci fermiamo, ragioniamo. Abbiamo poche alternative, questa stradina ci consente di attraversare le colline che ci separano dal fiume ed è l’unica esistente. Di tornare indietro e intraprendere l’altra via non se ne parla proprio, si allungherebbe troppo. Andiamo avanti confidando nella buona sorte.

Inizia una dura e faticosa salita verso Dunaszentmiklos, di fronte a me una costante ascesa. Maledico la decisione di seguire questo itinerario, avrei preferito allungare piuttosto che scalare. Mentre la mia velocità scende drasticamente attestandosi a 5 orari, Francesco se ne va su leggero come un fringuello e presto mi abbandona. La pendenza non è eccessiva ma è regolare, zigzago da una estremo all’altro della via sperando così di addolcirla. Ad ogni curva che nasconde il proseguo vi è la speranza di esser giunti alla sommità, ma tutto è vano. Una coppia di anziani signori ha desistito al tentativo, li sorpasso, li guardo e nella mia testa l’idea che a breve anche io farò come loro. Altre curve, una serpe morta sull’asfalto, cerco rapporti ancor più leggeri ma è da un pezzo che sono al limite. Poco dopo mi trovo a spingere la bicicletta, è piacevole camminare e molto meno faticoso. Chi se ne frega, non ho nulla di cui vergognarmi, non devo battere nessun record né superare nessuna sfida, l’importante è viaggiare, proseguire, indipendentemente dal come.

Ritrovo Francesco al culmine della salita, poco dopo il tratto di strada interrotto per cedimento con evidenti solchi profondi e dislivelli nell’asfalto, fortunatamente a piedi come in bici si può proseguire. Siamo nel piccolo villaggio a circa 5 km dal Danubio, lo possiamo ammirare dall’alto in tutta la sua maestosità. Ci buttiamo a capofitto nella rapida discesa, la stradina non è in buone condizioni e così tocchiamo i freni di tanto in tanto. Giù a 40 orari con solo la paura che lo zaino si possa spostare e farmi fare un volo indimenticabile, pochi minuti e siamo già a quota zero e all’imbocco con la statale 10.

Procediamo spediti sulla bella ciclabile che costeggia la carreggiata, in diversi tratti separata da guardrail, attraversando piccole località connesse una all’altra. Un ambiente allegro e vivo che sfrutta sicuramente l’influenza del grande vicino. I chilometri aumentano oltre ogni nostra previsione, il bivio per Esztergom e l’illusione di essere arrivati.

L’entrata in città è quasi trionfale, sono le 19 e dobbiamo trovare un alloggio. Con un ultimo sforzo raggiungiamo la cittadella dove ha sede l’imponente cattedrale, simbolo del luogo, con i suoi 118 metri per 49 e con una cupola di 33 metri di diametro e 71 d'altezza. Nell’adiacenza della Basilica si trovano i ruderi dell’ex Palazzo Reale e poi vescovile ed qui che si dovrebbe trovare un ostello indicato dalla guida. Entriamo, memori dell’esperienza di Gyor, ma alla nostra richiesta la risposta è negativa, nessun ostello. Il custode ci fa capire che sempre sullo slargo se ne dovrebbe trovare uno, ma che risulta inesistente.

Fermi nell’enorme piazza a decidere il procedere. Non ci resta che provare al campeggio. Un ciclista a qualche decine di metri da noi ci saluta, ricambiamo e si avvicina. Tomas, offre immediatamente il suo aiuto e ci guida in città alla ricerca di un posto per la notte. Ci fermiamo in un ostello ma non c’è nessuno, prova anche a telefonare ma non riceve risposta. Poi tentiamo in un alberghetto ma costa troppo per le nostre tasche. Ringraziamo il nostro amico fin troppo gentile e a cui non vogliamo sottrarre altro tempo, ma lui non ci molla, ormai deve trovarci una sistemazione.

Superiamo il lungo ponte che collega le due sponde del fiume, siamo a Sturovo, Slovacchia e qui Tomas ci assicura che troveremo qualcosa. Si ferma sotto un insegna, prende il cellulare e compone un numero, poco dopo ci chiede se 14 euro per una stanza ci vanno bene. Un largo sorriso compare sui nostri volti, c’è da aspettare un po’ prima di poter andare.

Seduti in un bar sorseggiamo un bicchiere di Kofala, bevanda analcolica tipica che a me ricordo un po’ il chinotto. Il nostro nuovo amico è slovacco ma lavora come somelier in un ristorante di Esztergom e abita a 30Km da qui. Per un periodo ha vissuto in Olanda, è un ciclista molto più bravo ed esperto del sottoscritto ed ogni giorno copre la distanza casa lavoro con la sua mountain bike impiegando circa un’ora.

Raccontiamo del nostro viaggio e si mostra molto interessato, poi ci parla dei suoi e del progetto che ha per l’anno a venire. Partendo dalla sua terra vorrebbe, passando per Austria, Germania e Svizzera entrare in Italia e scendere sulla costa Tirrenica, risalire da quella Adriatica ed infine attraversando Slovenia e Ungheria ritornare a casa. Un itinerario di circa 6000 Km da percorre in 100 giorni.

Il feeling con Tomas è incredibile, ci scambiamo consigli ed informazioni tecniche ma come nelle favole più belle arriva il momento dei saluti. E buio quando ci accompagna al nostro alloggio, una graziosa casettina prefabbricata di due stanze bagno e cucina, appena fuori dal centro. Purtroppo non siamo gli unici ospiti, una colonia di feroci zanzare si butta a capofitto sui nostri indifesi corpi. Un paio di foto di rito, lo scambio dei contatti e la promessa di fare qualche tappa con lui in Italia. Ciao Tomas, il tuo aiuto è stato fondamentale, a presto amico.

Il contachilometri segna ben 120, nostro record personale, in quasi 7 ore ad una media di 17,5. E’ stata una lunga ed intensa giornata ma non puoi certo finire così. Camminiamo nelle zona pedonale del piccolo centro cittadino alla ricerca di un taverna dove cenare, ma sono già le 22.30 di domenica ed è tutto chiuso. Nella mia mente stavo già pregustando gli squisiti gnocchetti slovacchi, la delusione si impossessa di me. Eccolo un buon motivo per ritornare in questa terra.

Sorseggiando una bionda assistiamo alla finale dei mondiali, e proprio quando ormai i rigori sembravo l’unico modo per sancire il vincitore, il gol di Iniesta gela tutti e regala alla Spagna il primo titolo.

Ma non siamo ancora stanchi e così seguendo un suggerimento raggiungiamo l’unico locale cittadino. Dolphin, un posto veramente underground, arredo spoglio praticamente inesistente, muri bianchi grezzi e tetto di lamiera, mi piace. Alcune decine di giovani e non solo, si scatenano a ritmo di una musica che va dai successi degli anni ottanta alle ultime hit, passando per canzoni tradizionali e un po di rock. E’ un ambiente divertente e non possiamo tirarci indietro, anche noi siamo travolti dalle danze.

A tarda notte l’ultima sorpresa di questa indimenticabile giornata. La ruota posteriore della bici di Francesco è completamente a terra. La prima foratura del viaggio, ce l’aspettavamo, ma non di certo in questo modo. Impassibili, nulla può rovinare questo momento, ci avviamo a piedi, spingendo le nostre compagne di strada, verso il meritato riposo.

6 commenti:

  1. Ancora una volta grazie! Mi astengo da commenti sui contenuti dato che stavolta mi sembrano fin troppo buoni nei miei confronti. Solo un appunto: non era kebab!

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  2. Semplicemente la verità, come nei precedenti articoli. Sicuro che non era kebab?e allora cosa diavolo era.....

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  3. l'urbe dorme sul Tevere, non sul Danubio, e non so se sia un bene o un male per la città o il fiume, e comunque visto i nomi dei villagi, che suonano come un ritornello futurista di Peppe Starnazza, sicuro che non hai imboccato qualche succursale di Disneyland.....

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  4. come promesso sto "viaggiando" tra i tuoi diari...è sempre piacevole :)
    Claudia Vorobiov

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    1. Mille grazie Claudia.
      é sempre bello ricevere apprezzamenti

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