domenica 8 agosto 2010

cuba, l'isola che c'è


Toño mi invita a sedermi a suo fianco. Sono le 20.10 e come tutte le sere sta guardando il notiziario alla tv. “Questo è Ortega, quello lì Chavez e quest’altro Raul”. Me li indica uno a uno mentre compaiono sullo schermo. Annuisco dicendo che so chi siano. Mi osserva con i suoi due occhietti furbi, riflette, si assicura che capisca ciò che dice e poi è un fiume in piena. Questo arzillo settantottenne con una memoria eccezionale mi parla con passione e dettagli della storia del suo paese e della rivoluzione dove ha combattuto come clandestino in un pueblo...


Passa un servizio sulla mortalità infantile che a cuba è pari quasi allo 0%, mi sorride e commenta. “Non sono questi diritti umani? Non sono diritti umani avere una casa, un lavoro, l’istruzione e l’assistenza sanitaria? Gli yanquee dico che qui non si rispettano i diritti umani ma loro queste cose, per noi scontate, non le hanno. Sono loro che non rispettano i diritti umani”

Ci diamo appuntamento all’indomani, sono le 20.30 il tg è finito ed è ora che vada a riposarsi. Ho passato tre giorni nella sua casa, tre brevi serata trascorse a chiacchierare di Josè Martì, di Julio Antonio Mella, dell’incontro che ha avuto con Fidel. La sua felicità nello spiegarmi è aumentata dopo aver scoperto la mia laurea in storia e la passione per l’Americalatina. Ci lasciamo con un forte abbraccio e con l’indimenticabile banconota da 3 pesos cubani, quella con il volto del Che, che mi regala e che conservo gelosamente.

El camion è pieno. Lascio il posto a sedere ad una graziosissima bambina che viaggia in compagnia della sorella e di una amica. Le scuole oggi sono chiuse e se ne vanno al mare. Sono due studentesse prossime alla laurea. “Dopo l’estate torneremo nelle nostre città e inizieremo a lavorare”. Ci spiegano che qui, terminata l’università hai già il posto di lavoro, naturalmente attinente agli studi effettuati e così fra pochi mesi inizieranno a fare le farmaciste.

Sorseggio un caffè seduto comodamente nella cucina di Mariela, docente di chimica in pensione. Suo marito è insegnante di inglese e la figlia di diritto. Una famiglia di accademici, molto cordiali e alla mano. “Sai, a Cuba, l’istruzione è completamente gratuita oltre che obbligatoria. C’è la primaria, la secondaria ed infine l’università. Tutti i bambini sono tenuti ad andare a scuola senza sborsare un pesos, neanche per i libri. A tutto provvede lo Stato”. Esistono poi, una per provincia, scuole speciali per lo sport o la musica, come quella che frequenta la nipote, a cui si accede dopo una selezione e si paga un piccolo contributo di pochi pesos.

Mi parla della duplice importanza del sistema educativo. “Solo un popolo colto, formato e cosciente può essere una parte attiva e partecipe nella gestione di uno stato. Bisogna assicurare a tutti i migliori servizi avendo specialisti e tecnici preparati in ogni settore”. Dalla chiacchierata emerge anche il ruolo sociale che la scuola svolge garantendo a tutti i bambini un luogo dove stare insieme, crescere ed apprendere, assicurando un futuro ed escludendo la possibilità di fenomeni di abbandono e degrado. “Non vedrai mai qui, un bambino che chiede l’elemosina o si droga. Ma li vedrai allegri di giocare e studiare”.


Pochi secondi e quell’imbarazzo iniziale è già finito. Ero andato li a portare i saluti e un regalo per le bambine e in un attimo eccoci seduti sul divano a chiacchierare con tutti. Osvaldo fa il tassista, ci parla della sua terra che ha girato in largo e lungo dandoci consigli sui luoghi da non perdere. La famiglia è quasi al completo, infatti oltre a lui e alla moglie, vivono li per ora, anche il figlio e i due nipoti perché la nuora, essendo medico, si trova in Venezuela per uno dei numerosi scambi di solidarietà del governo cubano.

Siamo tartassati di domande in quanto si erano molto preoccupati per il terremota che ha distrutto L’Aquila. In poco tempo giunge anche l’altra nipotina, una vivacissima bambina che inizia a chiacchierare chiedendo informazioni di mia sorella. Il tempo non ci basta e torniamo a trovarli il giorno successivo, ormai anche noi siamo di famiglia.

Ci offrono da bere e non possiamo rifiutare, poi ci mostrano numerose foto ed infine si torna a parlare di Cuba. Ci salutiamo con molta tristezza, il nostro viaggio deve proseguire. Ci scambiamo i contatti e ci pregano di chiamarli prima di ripartire per l’Italia per sapere che tutto è andato bene. Osvaldo prima di lasciarci apre un cassetto e prende un libro. “Questo è per voi, leggetelo è importante”, è una raccolta di scritti di Fidel Castro.

La festa nell’associazione culturale è finita. Una serata passata in compagnia di giovani artisti cubani ascoltando musica e guardando cortometraggi. Si beve e si parla. Fra poche ore sarà il primo maggio e partirà il corteo con migliaia di lavoratori ma molti di questi giovani non ci andranno, mentre io sarò presente.

Yoani ha 34 anni  e fa l’attrice di teatro, questo è il mestiere che voleva fare fin da piccola. Pedro è il regista della compagnia ed ha la sua stessa età. Non sono famosi, ma i loro spettacoli vanno in scena per i teatri di Santiago. Per loro questa attività non è solo una passione ma è diventata anche un lavoro.

Non sono entusiasti di Cuba e vorrebbero andare via dall’isola come hanno fatto diversi loro amici. Parlando però emerge che difficilmente in Italia come in un altro paese questo loro amore si sarebbe potuto trasformare in un’attività lavorativa e piuttosto sarebbero finiti a fare i camerieri o i baristi, come è accaduto a molti dei loro conoscenti. Pedro ci saluta, si incammina con tranquillità per i vicoli della città vecchia mano nella mano con il suo ragazzo ed io intanto penso alla stessa scena a Roma e quel che invece sarebbe accaduto.

“Vorrei andar via di qua ma non credo che troverei un posto migliore per vivere”. Manolito ci coinvolge in un’approfondita discussione economica. Ex docente universitario di economia gestisce ora una graziosa casas particular. Ci fa un’infinità di domande sul costo della vita in Italia, poi parliamo della Danimarca paese dove è stato per tre mesi e dove forse vorrebbe tornare. Si meraviglia di scoprire come riusciamo a campare con i nostri bassi salari rapportati all’enorme costo di prodotti e servizi. “l’Italia e la Spagna sono bei paesi, ma certo è difficile viverci. Non ci verrei mai”

I concerti riempiono come lo sport la vita dei cubani, nessuno di loro potrebbe farne a meno. La musica proviene da ogni piazza della città e non mancano nemmeno le mostre di quadri e sculture. Non possiamo perdercela e ci buttiamo nella mischia.

“Qui tutto è una gioia ed allegria. Ci divertiamo e stiamo bene”. “Tranquilli qui non ci sono pericoli, è sicuro e nessuno vi farà mai del male”. “ La solidarietà e il rispetto del bene comune”. “ Vorrei girare e vedere altri paesi, ma perché dovrei andarmene via di qui?”. “El bloque ci costringe a sacrifici enormi”. “Ovvio, abbiamo problemi economici e vorremo stare meglio, ma non rinunceremo mai a tutto questo!”. “La rivoluzione va fatta giorno per giorno”.

Queste le voci di uomini e donne raccolte in un viaggio nell’isola.


(pubblicato su Il Reporter, quotidiano on line) 

2 commenti:

  1. Alla fine ci sei andato a Cuba, quello che è strano che sei ritornato! "Pavido!" ti direbbe don Antonio, sentivi la nostalgia dei bunga bunga di Silviolo e dei parenti di Alemagno?
    Comunque complimenti Cilè, ti ho lasciato appena alfabetizzato, e ti ritrovo trasformato in una sorta di Hemingway, che Cepu hai frequentato ultimamente?

    El Negro

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  2. grazie, i tuoi sarcastici complimenti mi fanno molto piacere

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